venerdì 10 agosto 2018

La Costituzione dello Stato di Israele



Legge Fondamentale: 

Israele, Stato Nazione del Popolo Ebraico


1) Principi fondamentali

A. La Terra di Israele è la patria storica del popolo ebraico, in cui lo Stato di Israele si è insediato.
B. Lo Stato di Israele  è la patria nazionale del popolo ebraico, in cui esercita il suo naturale, culturale, religioso e storico diritto all'autodeterminazione.
C. Il diritto di esercitare l'autodeterminazione nazionale nello Stato di Israele è unico per il popolo ebraico.

2) Simboli dello Stato

A. Il nome dello Stato è "Israele.
B. La bandiera dello Stato è bianca con due strisce azzurre verso le estremità e una stella blu di David al centro.
C. Il simbolo dello Stato è una menorah a sette bracci con foglie d'ulivo ad entrambi i lati e la scritta  "Israele" sotto esso.
D. L'inno nazionale è l'"Hatikvah".
E. Ulteriori dettagli sui simboli di stati saranno determinati da legge ordinaria.

3) La capitale dello Stato

Gerusalemme, integra e unita, è la capitale di Israele.

4) Lingua

A. La lingua ufficiale è l'ebraico.
B. La lingua araba gode di riconoscimento speciale nello stato. La legge regolamenterà l'impiego dell'arabo nelle istituzioni di stato.
C. Questa previsione non pregiudica lo status riconosciuto alla lingua araba dalle normative preesistenti.

5) Ritorno degli esuli

Lo Stato è aperto all'immigrazione ebraica e al ritorno degli esuli

6) Collegamento con il popolo ebraico

A. Lo Stato si impegnerà affinché sia garantita la sicurezza dei membri del popolo ebraico in pericolo o in cattività a causa della loro ebraicità o cittadinanza.
B. Lo Stato agirà nell'ambito della Diaspora per rafforzare l'affinità fra esso e i membri del popolo ebraico.
C. Lo Stato agirà per preservare il patrimonio culturale, storico e religioso del popolo ebraico fra gli ebrei della Diaspora.

7) Insediamenti ebraici

A. Lo Stato considera lo sviluppo di insediamenti ebraici come valore nazionale e agirà per incoraggiare e promuoverne l'insediamento e il consolidamento

8) Calendario ufficiale

Il calendario ebraico è il calendario ufficiale dello Stato, e sarà affiancato dal calendario gregoriano come calendario ufficiale. L'utilizzo del calendario ebraico e di quello gregoriano sarà disciplinato dalla legge.

9) Giornata dell'Indipendenza e commemorazioni

A. La Giornata dell'Indipendenza è la festività nazionale ufficiale dello Stato.
B. La Giornata della Memoria per i Caduti in tutte le Guerre di Israele, per le vittime dell'Olocausto, nonché la Giornata del Ricordo dell'Eroismo, sono giorni di commemorazione dello Stato.

10) Giorni del riposo e Sabbath

Lo Sabbath e le festività di Israele sono i giorni di riposo fissati per lo Stato. I non ebrei hanno diritto a rispettare i loro giorni di riposo e le loro festività. I dettagli di questo tema saranno fissati dalla legge.

11) Immutabilità

Questa legge fondamentale non può essere emendata che da un'altra legge fondamentale, approvata dalla maggioranza dei membri della Knesset.

Bimba, prestami la tua foto, chi vuoi che se ne accorga?


Oggi è il 9 agosto 2018 e ancora una volta con cinismo disgustoso la propaganda palestinese mette in rete la foto di una dolce bambina che viene spacciata per vittima dei bombardamenti israeliani a Gaza.
La notizia parla dell'uccisione di una donna incinta e della figlioletta Bayan Abu Khamash... ma sarà veramente lei?
Basta una accurata ricerca in rete e presto viene svelata dal sito israellycool.com  l'ennesima truffa: la foto della bimba è stata rubata su Instagram, lei si chiama Elle McBroom, sta benissimo e vive a Los Angeles.
Qui : http://www.israellycool.com/2018/08/09/palestinian-blood-libel-of-the-day-the-baby-and-her-pregnant-mother-edition/

Ora la domanda è sempre la stessa: sarà vera almeno la notizia della morte della bambina e della madre incinta (in tal caso ci uniamo con sincerità al dolore dei parenti sopravvissuti), oppure si tratta della consueta notizia non verificata dai nostri media che sta facendo il giro del globo sull'onda dell'emozione?


Speriamo sinceramente che sia tutto falso, che la madre incinta e la bimba - se esistono veramente - siano sane e al sicuro ma intanto una cosa è certa: questa foto è un fake, aiutaci a segnalarlo!

giovedì 2 agosto 2018

Hamas smentisce il Corriere della Sera




“Quella bambina non l’ha uccisa Israele”Hamas smentisce i media ma il caso è diventato virale sui nostri giornali e tv

“Layla al Ghandour è il volto del massacro di Gaza”, aveva titolato al Jazeera, infiammando la rabbia del mondo arabo-islamico. La foto della bambina palestinese di otto mesi morta il 14 maggio al confine con Israele ha fatto subito il giro di tutti i media occidentali, Corriere della Sera compreso che l’aveva messa in prima pagina. Nessuno aveva resistito: “Strage a Gaza, anche una neonata”, un’agenzia di stampa. “Una bambina muore nella nube di Gaza”, scandiva il Los Angeles Times. “Una bambina di Gaza muore, è nato un simbolo” riferiva il New York Times nel servizio di Declan Walsh. “Orrore: bambina uccisa nella repressione israeliana” proseguiva l’Huffington Post. “Il volto angelico di una bambina di otto mesi uccisa dal gas a Gaza”, ammoniva il Mirror. Ansamed: “59 morti, fra cui una bambina di otto mesi uccisa dal gas”. “Una madre stringe la figlia di otto mesi uccisa dai soldati israeliani”, il titolo del Daily Mail. “Il bilancio delle proteste di Gaza sale a 61, bambina muore per lacrimogeni”, riportava il Washington Post. Dalla Rai alle tv europee, nei desk room era tutto un dire: “Hanno ucciso pure una bambina”. E Abu Mazen, il presidente “moderato” dell’Autorità palestinese, si è fatto fotografare in ospedale mentre sfoglia la stampa araba con una vignetta in prima pagina, dove un soldato israeliano asfissia una bambina palestinese. I paragoni non potevano mancare con Aylan Kurdi, il bambino morto annegato su una spiaggia turca, e Omran Daqneesh, ricoperto di sangue e polvere ad Aleppo. Anche il funerale orchestrato da Hamas per Layla a Gaza ha fatto il giro del mondo. Sulla Rai, Massimo Gramellini ha paragonato la foto di Layla a “un quadro di Caravaggio”.
Soltanto che ieri il ministero della Salute sotto la guida di Hamas a Gaza ha dichiarato di aver rimosso il nome della bambina dalla lista delle persone rimaste uccise negli scontri con le truppe israeliane. E’ lo stesso ministero che, una settimana prima, aveva detto che Layla era “morta per inalazione di gas lacrimogeni”. Il portavoce del ministero, il dottor Ashraf al Qidra, ha detto che un’indagine è stata effettuata e che “Layla al Ghandour non è elencata tra i martiri.”
Eppure, i media avrebbero potuto essere fin dall’inizio più cauti, visto che un medico di Gaza aveva dichiarato il giorno dopo all’Associated Press che la bambina aveva una malattia preesistente e di non credere che la sua morte fosse stata causata dai gas israeliani. Ma i giornali erano eccitati dal sangue e dai morti, non un dubbio su quei genitori palestinesi che portavano i bambini (in questo caso con una malattia cardiaca) a uno scontro in cui sanno che ci saranno i gas lacrimogeni e il fumo di pneumatici bruciati. Nessuno voleva dubitare della verità stabilita da “fonti mediche palestinesi”, quando si sa quanta libertà e trasparenza ci siano in quella regione. Ma Layla non era più una bambina, un essere umano, ma un simbolo politico, una causa. L’avvocato americano Alan Dershowitz ha scritto sul Jerusalem Post: “Hamas trae vantaggio da ogni morte che Israele causa accidentalmente. Per questo Hamas esorta donne e bambini a farsi martiri. Parlare di ‘strategia del bambino morto’ può sembrare crudele: infatti è una strategia crudele. Si deve accusare chi la utilizza cinicamente. E si devono accusare i mass-media che fanno il gioco di coloro che la utilizzano, quando si limitano a riportare il conteggio dei corpi e non la deliberata tattica di Hamas che porta a quel risultato“.
Israele è stato trasformato in un “babykiller”, da quegli stessi media che hanno glissato sui bambini israeliani di Sderot, di Sbarro, di Maalot, i Fogel, gli Hatuel, le vittime del terrore palestinese. Per loro non c’è Caravaggio. Il prossimo World Press Photo è già pronto per Haitham Imad, il fotografo che ha immortalato Layla fra le braccia della madre. “C’è una guerra e noi non siamo neppure sul campo di battaglia”, ha detto tre giorni fa Michel Oren, vice ministro israeliano per la Diplomazia, a proposito dei media. Il giornalismo ha svolto un ruolo centrale nell’attacco di quel lunedì al legittimo diritto di Israele di difendere i propri confini e cittadini. I media faranno ammenda ora che nuove informazioni sono venute alla luce? Ci vuole coraggio per ammettere di aver sbagliato.

Rifiutare il concetto di "territori occupati" per avvicinare la pace?





World Israel News
Titolo originale: US Rejection of Term ‘Occupied Territories’ Brings Peace Closer

26 aprile 2018
di Daniel Krygier


Per la prima volta dal 1979, un documento ufficiale del Dipartimento di Stato USA ha rimosso la dicitura "occupati" con riferimento a Giudea e Samaria. Preso a sé, questo dato può apparire irrilevante. In realtà, è il riflesso di una nuova politica per il Medio Oriente, che agevolerà il conseguimento di una pace fra arabi e israeliani.
Sin da quando gli stati arabi fallirono l'impresa di distruggere Israele nell'ambito della Guerra dei Sei Giorni nel 1967, la comunità internazionale ha inquadrato il conflitto in termini di «Occupazione israeliana della Palestina». Tuttavia, l'espressione «Territori palestinesi occupati» è di natura esclusivamente politica e non legale o storica. «Palestina» è il termine assegnato dai romani alla Giudea occupata, e mai alcuno "stato di Palestina" è esistito in Terra di Israele.
Nel suo monumentale lavoro "I presupposti giuridici e i confini di Israele nell'ambito del diritto internazionale", Howard Grief ha argomentato che il titolo legale che assegna la Terra di Israele al popolo ebraico, è previsto dalle dichiarazioni della comunità internazionale in seno alla Conferenza di Sanremo del 1920.

Le implicazioni di questo riconoscimento sono che le comunità ebraiche in Giudea e Samaria sono legittime dal punto di vista del diritto internazionale, anche se respinte regolarmente da un Palazzo di Vetro parziale e politicizzato e dall'Unione Europea in quanto tale. A differenza della ex Algeria occupata dai francesi, Giudea e Samaria costituiscono le radici ancestrali di Israele. Israele ha ottenuto questi territori in seguito ad una guerra difensiva, dopo essere stato attaccato dagli stati arabi confinanti. Dal momento che la "Palestina" non esiste, Giudea e Samaria dovrebbero essere definiti tutt'al più territori "contesi", e non occupati. Ciò implica che Israele ha pieni diritti in Giudea e Samaria.
Ciò non implica che Israele si arroghi il diritto di annettere gli interi territori in discussione. Non è neanche nell'interesse dello stato ebraico, aggiungere 2 milioni di arabi alla sua popolazione. Tuttavia, un futuro accordo definitivo di pace fra arabi e israeliani potrebbe prevedere l'annessione delle aree a maggioranza ebraica più popolate di Giudea e Samaria. Dopotutto, ciò rispetta lo spirito e la lettera della Risoluzione ONU 242, che contempla la possibilità che Gerusalemme trattenga parte dei territori contesi.

E questo ci riporta alla voluta omissione del termine "occupati" da parte di una recente nota della Diplomazia USA, con riferimento a Giudea e Samaria. È un dato politicamente rilevante, perché il fulcro del conflitto non è mai stata la presunta occupazione, quanto l'opposizione della comunità araba e musulmana alla rinascita dello Stato di Israele, a prescindere dai confini e dalla capitale. Sono stati gli arabi, e non certo gli ebrei, a respingere sistematicamente ogni accordi di pace che contemplasse due stati distinti, a partire dalle raccomandazioni britanniche elaborate nel 1937 dalla Commissione Peel.

Israele non occupa alcunché. Né è stato rifondato per offrire un rifugio alle genti scampate all'Olocausto, come recentemente affermato dalla star di Hollywood Natalie Portman.
I confini definitivi di Israele devono essere ancora definiti. Tuttavia, ciò che appare indiscutibile è che l'Israele moderno è la realizzazione storica e legale del diritto del popolo ebraico a vivere nella propria Terra.
Il percorso verso una pace duratura ed effettiva non può prescindere da questa realtà inoppugnabile.

Strage di Bologna: prende quota la pista del terrorismo palestinese



Gian Marco ChiocciIl Tempo, 27 Luglio 2017
link: http://www.focusonisrael.org/2017/07/30/strage-di-bologna-prende-quota-la-pista-del-terrorismo-palestinese/


E’ giusto continuare a nascondere ai cittadini quanto accadde nel nostro paese nell’estate del 1980? A distanza di tanti anni, oggi che il regime di Gheddafi si è dissolto nel nulla e molti dei protagonisti politici italiani dell’epoca sono passati ad altra vita, sussistono esigenze di segretezza sul legame che legherebbe il terrorismo palestinese alla strage alla stazione di Bologna? Stando ai documenti del centro-Sismi di Beirut relativi al biennio ’79-80 custoditi incredibilmente ancora sottochiave al Copasir verrebbe da dire di sì visto che la verità documentale stravolgerebbe completamente – e capovolgerebbe – la verità giudiziaria passata in giudicato. Verità giudiziaria, per quanto riguarda la pista palestinese, archiviata a Bologna dopo l’apertura di un’inchiesta a seguito di notizie rimaste coperte per più di vent’anni.

Ma a 37 anni dal mistero dell’esplosione di Bologna escono dunque altre prove, clamorose, sulla «pista palestinese» opportunamente occultata dal nostro Stato e dai nostri servizi segreti per una indicibile ragion di Stato. Pista che si rifà alla ritorsione, più volte minacciata dai terroristi arabi, per la rottura del «Lodo Moro» (l’accordo fra i fedayn e l’Italia a non compiere attentati nel nostro Paese in cambio del transito indisturbato delle armi dei terroristi). Roba da far tremare i polsi.
Seguiteci con attenzione e annotate i continui riferimenti alla città di Bologna. Tutto ha inizio nel novembre 1979 quando i carabinieri, a Ortona, in Abruzzo, sequestrano alcuni missili terra-aria «Strela» di fabbricazione sovietica. I militari arrestano i tre esponenti dell’autonomia operaia romana che quei razzi custodiscono all’interno dell’auto. Seguendo la traccia dei missili i magistrati abruzzesi arrestano a Bologna Abu Anzeh Saleh, rappresentante in Italia dell’organizzazione terroristica Fplp (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina). Questo Saleh viene «individuato» e descritto già nella commissione Mitrokhin che indagava sulle spie del Kgb in Italia. Saleh risulta essere il dirigente della rete logistica palestinese in Italia. In alcune interviste Saleh ha confermato il suo ruolo rivoluzionario negando qualsiasi ruolo dei palestinesi con la strage di Bologna (lo stesso ha fatto, lo scorso 26 giugno, in commissione Moro Nassam Abu Sharif, già braccio destro di Arafat, ricordando che Saleh fu la persona contattata dai Servizi italiani il giorno dopo il sequestro Moro per chiedere che l’Olp mediasse con le Brigate Rosse per ottenere la liberazione del leader democristiano). Insomma, un personaggio cruciale, nevralgico, questo Saleh.
Sconosciuti sono i risvolti internazionali della vicenda raccontata nei documenti ancora top secret in parlamento che Il Tempo è oggi in grado di rivelare. Il palestinese Saleh era persona protetta dal Sismi in ottemperanza all’accordo segreto di cui sopra. Con le manette dei carabinieri all’arabo residente a Bologna, l’accordo segreto fra Italia e Palestinesi, il cosiddetto «lodo Moro» era da considerarsi violato. A parte il governo in carica e l’intelligence a Beirut nessuno poteva immaginare che quell’arresto a Ortona rappresentava l’inizio della fine. Dietro il transito di quei missili c’era Gheddafi, il partner intoccabile della disastrata economia italiana che proprio in quel periodo aveva stretto una pericolosa alleanza con l’Urss. In ossequio alla ragion di Stato e all’accordo, il ruolo della Libia nella vicenda fu tenuto accuratamente nascosto, così come non venne mai identificato il giovane extraparlamentare di Bologna che aveva accompagnato il palestinese Saleh a Ortona nelle ore successive al sequestro delle armi. Perché quel ragazzo bolognese scomparve nel nulla? E perché i fatti occultati riguardavano e riguarderanno anche in seguito sempre Bologna? Il Sismi diretto dal generale Santovito sapeva bene che, dopo l’arresto di Saleh, i vertici dell’Fplp chiesero a un loro militante di restare in Emilia per mantenere i contatti con un terrorista del famigerato gruppo Carlos, dal nome del super terrorista venezuelano che intorno a se aveva raggruppato la crema criminale del terrorismo arabo marxista-leninista. Chi era il basista in Emilia di Carlos “lo Sciacallo” e perché non è stato mai localizzato il suo covo? I vertici palestinesi – stando ai telex top secret del novembre 1979 – temevano che, a distanza di un anno dall’omicidio Moro, potesse emergere la prova delle collusioni dell’ala oltranzista dell’ Olp con il terrorismo italiano. La dirigenza dell’Fplp era spaccata. La parte vicina ai paesi arabi filosovietici (Siria e Libia), indispettita dal voltafaccia italiano, respinse l’invito alla prudenza dell’ala «moderata» e più violenta e reclamò un’azione punitiva. Poco prima del Natale 1979, esattamente il 18 dicembre, l’Fplp minacciò una rappresaglia contro il nostro paese. Le nostre «antenne» del Sismi a Beirut, legatissime al Fplp come peraltro confermato lo scorso 2 luglio alla Stampa dall’allora responsabile dell’informazione Abu Sharif ( «io personalmente siglai l’accordo con l’Italia attraverso il colonnello del Sismi Giovannone a Beìrut») lanciarono drammatici Sos. Nelle carte si fa cenno a un interlocutore del Fplp ( … ) che minacciava durissime rappresaglie qualora finisse per essere formalizzato il rifiuto dell’Italia all’impegno preso con il Lodo. Saleh in cella è il prezzo dello strappo letale, Roma è disposta a pagarlo? Stando sempre alle corte riservate lo 007 Giovannone, o chi per lui, da Beirut insiste a non giocare col fuoco. Da gennaio a marzo le minacce salgono di livello. Arriviamo al 14 aprile 1980. Habbash, leader del Fplp, spiffera agli agenti segreti italiani che l’ala moderata del Fronte fa sempre più fatica a frenare lo spirito di vendetta contro Roma che alligna nell’anima più irriducibile del suo gruppo. Anche l’idea di rivolgersi ad Arafat cade nel vuoto perché non sarebbe in grado – così riportano le note coperte dal sigillo del segreto – di prevenire un attentato affidato a «elementi estranei al Fplp», comunque coperti da una «etichetta sconosciuta». Ma chi sono questi «estranei»? Quale sarebbe questa sigla non conosciuta? I servizi italiani lo fanno capire di lì a poco allorché annotano la presenza del ricercatissimo «Carlos lo Sciacallo» proprio a Beirut accostandola alla possibilità che proprio a Lui e al suo gruppo internazionale venga affidato l’attentato in Italia. Dunque i documenti tuttora segreti riscontrerebbero le dichiarazioni rese anni e anni fa al giudice Mastelloni da tale Silvio Di Napoli, all’epoca dirigente del Sismi preposto alla ricezione die messaggi cifrati provenienti dal centro Sismi di Beirut.
Quando il capo degli 007 a Beirut, Giovannone, informa il direttore Santovito che il Fplp, preso atto della condanna di Saleh, ha subito contattato Carlos, in Italia scatta l’allarme rosso. I servizi tricolori di Beirut ribadiscono ancora come la sanguinaria ritorsione può essere compiuta da «elementi non palestinesi» o «probabilmente europei» per non creare problemi al lavorio politico-diplomatico per l’imminente riconoscimento della casa madre della causa palestinese: l’Olp di Arafat.
Sono giorni gonfi di tensione. A metà maggio scade l’ultimatum del Fronte. Il Sismi scrive al comando di Forte Braschi che la dirigenza del Fplp è pronta, dopo 7 anni di non belligeranza, a riprendere le ostilità contro il Paese non più amico, contro i suoi cittadini, contro gli interessi italiani nel mondo «con operazioni che potrebbero coinvolgere anche innocenti». La fonte del colonnello Giovannone confessa che è la Libia, ormai sponsor principale del Fplp, a premere. L’Italia, col sottosegretario Mazzola, è in bambola. Prende tempo con vane e finte promesse su Saleh. In un documento dove si ribadisce il ruolo istigatore di siriani e libici, la ritorsione del Fplp viene data per certa ed imminente. E’ l’inizio della fine. Il Sismi in Libano scrive che non si può più fare affidamento sulla sospensione delle azioni terroristiche in Italia decisa nel ’73. Secondo i documenti ancora coperti dal segreto, insomma, la nostra intelligence fa sapere della decisione del Fplp di vendicarsi a seguito del mancato accoglimento del sollecito per lo spostamento del processo di Saleh. Mancano due mesi alla strage alla stazione di Bologna.
Luglio passa veloce, i contatti dei nostri servizi col Fplp si fanno via via più radi. Non c’è più feeling. Ogni canale viene interrotto. E’ il silenzio. Spettrale. Inquietante. Prolungato. Sino alla mattina del 2 agosto quando una bomba devasta la sala d’aspetto della stazione di Bologna: 80 morti, 200 feriti. La più grave strage dal dopoguerra. E’ stato Carlos? Sono stati i palestinesi? Tantissimi indizi portano a pensarlo ma nessuno di questi vedrà mai la luce per oltre trent’anni, i magistrati mai verranno messi a conoscenza di questi clamorosi carteggi all’indomani dello scoppio nella sala d’aspetto di Bologna. Fatto sta, per tornare a quel 1980, che l’estate successiva alla strage Saleh tornerà libero su decisione della Cassazione dopo le ennesime pressioni del Sismi sui magistrati abruzzesi.
E non sembra poi un caso se fu proprio il capo dei servizi segreti dell’Olp, a cui gli oltranzisti del Fplp erano affiliati, a organizzare con l’avallo del Sismi uno scientifico depistaggio sulla strage di Bologna, e non è ovviamente un caso se la base del depistaggio fu proprio Beirut. Ma chi e come si prestò a sviare le indagini? La memoria giudiziaria ci riporta a Rita Porena, giornalista free lance, in seguito identificata come amica personale del capocentro Sismi a Beirut, collaboratrice remunerata, che riuscì a intervistare proprio a Beirut un leader dell’Olp il quale, poco dopo la strage di Bologna, disse che nei loro campi di addestramento (frequentati assiduamente da brigatisti rossi) erano stati individuati ed espulsi dei neofascisti che progettavano e organizzavano un gravissimo attentato in Italia. Fu quella di Beirut la prima «rivelazione» (falsa) sulla pista neofascista, pista orchestrata da quello Stefano Giovannone da tutti considerato, anche con una certa ammirazione, il migliore e più fedele custode del Lodo Moro anche dopo la morte del politico che diede il nome al lodo segreto.
Mettetela come vi pare ma l’escalation delle minacce e degli ultimatum sovrapposti alla coincidenza temporale della strage di Bologna non danno scampo a una ipotesi alternativa, che invece – all’epoca – diventa l’unica da seguire: perché la strage – si è detto per anni – è per sua natura fascista. «Fascista» senza alcuna prova, indizio, risconto. Dunque, senza alcun plausibile motivo (o forse i motivi erano ben chiari a chi non voleva rendere noto il risultato prodotto da un accordo che ci avrebbe delegittimato per sempre come Paese sponsor dei terroristi nemici di Israele che insanguinavano l’Europa) le indagini vengono indirizzate sugli ambienti neofascisti. Nessuna spia, a poche ore dalla bomba e nemmeno nelle settimane e nei mesi ( e negli anni) a venire, si prenderà la briga di avvisare mai i magistrati di Bologna delle minacce palestinesi, dell’ingiustificata presenza a Bologna del gruppo Carlos, del ruolo delicatissimo di Saleh. Sulla scia dell’Olp anche il Sismi si attiverà per depistare l’inchiesta. Lo farà in mille modi, usando personaggi e storie diverse. Ma i documenti tuttora inaccessibili del Sismi, di cui Il Tempo ha scoperto l’esistenza, rivelano lo scenario di crisi conosciuto dalle nostre autorità e taciuto ai magistrati, e oggi consentono una lettura del depistaggio molto più grave e realistica anche perché solo dopo 20 anni, e per un caso fortuito (attraverso la ricerca dei consulenti della Mitrokhin) si è scoperta la presenza (sempre nascosta) a Bologna, il giorno della strage, di un certo Thomas Krarn, che i servizi della Stasi, gli 007 della Germania Est, indicavano come membro del già citato gruppo terroristico di Carlo lo Sciacallo. Per la cronaca Kram era entrato nell’inchiesta sulla «pista palestinese», poi archiviata a Bologna nel 2015.

Oggi gli unici che si ostinano a negare l’importanza di quelle carte sembrerebbero quelli strenuamente contrari alla loro divulgazione. Curioso paradosso. Ma ai giudici bolognesi non può essere opposto alcun veto perché le indagini per il reato di strage non lo consentono. Basterebbe una semplice richiesta al Copasir per illuminare a giorno il buio della strage del 2 agosto. Il buon senso porta ad augurarsi che sia la procura di Bologna a chiedere di sua iniziativa il carteggio esplosivo. La politica, per una volta, raddrizzi la schiena e non speculi per interesse. Lo deve agli 80 morti e ai familiari delle vittime che vogliono davvero la verità. Molti, già da 37 anni, con il loro silenzio si sono fatti compici degli assassini. Molti altri si sono messi a posto la coscienza sostenendo di non saperne abbastanza. Ora Il Tempo gli sta fornendo i necessari riscontri.
D’ora in poi, chi non agisce, è complice.


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Sul Lodo Moro leggi anche: 

L'accordo Moro coi terroristi arabi


domenica 18 ottobre 2015

Il BDS sostiene il terrorismo non i diritti

18 ottobre 2015: iniziativa molto chiara del Movimento BDS che chiede al Governo egiziano di supportare Hamas e la intifada palestinese. Nulla a che vedere con forme di boicottaggio pacifiche.


Il Cairo - conferenza stampa di Ramy Shaath, portavoce del Movimento BDS in Egitto

Se serviva una ulteriore prova che il Movimento BDS (Boycott, Divestment, and Sanctions) non è affatto un movimento pacifista che supporta la causa palestinese ma è invece un movimento profondamente antisemita che punta alla distruzione di Israele, questa prova arriva dall’Egitto dove oggi il movimento BDS organizza al Cairo una manifestazione a favore della intifada palestinese e di Hamas, non a favore dei Diritti dei palestinesi o della economia palestinese, non a favore del boicottaggio di Israele, ma proprio a favore della rivolta armata, o intifada, contro Israele.
La manifestazione che si chiuderà con una conferenza stampa e una mostra punta dritto a chiedere al Governo egiziano di sostenere la lotta armata dei palestinesi. La parola boicottaggio è sparita dal gergo del Movimento BDS, adesso si parla apertamente di lotta armata.
«Lo scopo principale della campagna è quello di sostenere la intifada palestinese» ha detto Ramy Shaath, portavoce del Movimento BDS in Egitto in un incontro con la stampa egiziana per la presentazione della manifestazione «e in seconda battuta quello di dirigere l’attenzione internamente alla questione palestinese e dare una risposta alle distorsioni presentate da alcuni media per quanto riguarda gli attuali sviluppi in Palestina». Ma Ramy Shaath è molto critico anche con il Governo egiziano che nei confronti di Hamas ha attuato politiche molto dure. «Il nostro obiettivo è quello di spingere l’Egitto e la sua gente a prendere una posizione più forte contro Israele e spingerlo a ridefinire la strategia di sicurezza nazionale dell’Egitto» ha detto Shaath «dall’assedio in corso a Gaza fino alla barriera di sicurezza costruita dall’Egitto, la politica egiziana è andata esattamente in senso opposto a quello che chiediamo noi». Quindi, riassumendo, l’obbiettivo del Movimento BDS è quello di far cambiare la politica dell’Egitto nei confronti dei terroristi di Hamas e invece di ostacolarli passare ad aiutarli. Cosa c’entra tutto questo con il boicottaggio a Israele ce lo dovrebbero spiegare i vertici del BDS.
Ramy Shaath è stato molto critico anche con i media egiziani che a suo dire hanno adottato una narrativa dei fatti che accadono in Israele e in West Bank molto simile a quella dei media israeliani. In sostanza il Movimento BDS accusa i media egiziani di raccontare la verità invece che distorcerla. A una domanda precisa da parte di un giornalista che chiedeva se il Movimento BDS sostiene o meno la intifada palestinese la risposta di Ramy Shaath è stata secca e precisa: SI.
Fino ad oggi il Movimento BDS ha sempre sostenuto la lotta armata palestinese ma, subdolamente, aveva sempre nascosto il suo sostegno alla lotta armata e al terrorismo dietro a una causa apparentemente pacifista come il boicottaggio di Israele. Ora per la prima volta esce allo scoperto.
Scritto da Shihab B.
link: http://www.rightsreporter.org/il-bds-sostiene-il-terrorismo-non-i-diritti-ecco-la-prova/

giovedì 23 aprile 2015

Lea, la caporale italiana che ha conquistato Israele

Lea, la caporale italiana che ha conquistato Israele 
Arrivata in vacanza, si è arruolata e ha ottenuto la cittadinanza

di Maurizio Molinari 

(La Stampa, 23 aprile 2015)





C’è un’italiana di 21 anni fra i soldati israeliani che vengono premiati oggi dal presidente Reuven Rivlin in una delle cerimonie più popolari dell’anniversario dell’Indipendenza. Arrivato a 67 anni dalla nascita, lo Stato ebraico si riconosce nei «militari eccellenti» scelti personalmente dal Capo dello Stato perché capaci di rappresentare «la voce di Israele» e Lea Calderoni ha saputo di essere stata prescelta solo pochi giorni fa. «Non me lo aspettavo e sono molto felice» ammette, raccontando la sua storia: nata a Roma, padre italiano e madre belga, studi al liceo scientifico e al termine una vacanza in Israele con il gruppo di volontari «Taglit». «Sono bastate poche settimane per innamorarmi di questo Paese, al termine della vacanza ho scelto di rimanere e fare l’aliya» ovvero diventare un’immigrata. 

Era il 2013 e «da nuova israeliana, come avviene per tutti, è arrivato quasi subito il momento di arruolarmi». I primi sei mesi di addestramento «sono stati difficili e al tempo stesso divertenti perché ero con ragazze tutte non israeliane e nessuno capiva bene i comandi degli ufficiali in ebraico». Ma poi l’integrazione nei ranghi ha funzionato e «mi hanno designato "madricha” della Sar’el» ovvero istruttore della particolare unità dell’esercito che raccoglie i volontari giunti da ogni Paese del mondo. «Vengono per poche settimane o alcuni mesi, vogliono aiutare l’esercito e sono impiegati in mansioni logistiche o amministrative» spiega Lea, facendo come esempi «mettere in ordine i depositi o catalogare le scorte». «È un aiuto importante per Tzahal - aggiunge, parlando delle forze armate - perché consente di richiamare meno riservisti, facendoli rimanere nella vita civile, in famiglia e al lavoro». 

Non ebrei 


Ciò che ha subito colpito Lea è che «oltre il 20 per cento dei volontari stranieri non sono ebrei», vengono «da Stati Uniti, Canada, Sudamerica, Europa, India, Singapore» e «si sentono legati ad Israele per le ragioni più diverse, vogliono aiutare». Proprio con i non ebrei Lea ha debuttato come istruttore. «Era un gruppo di finlandesi ed olandesi, tutti cristiani, dai quali ho imparato molto in altruismo». Poi sono arrivati gli americani: «Un veterano dell’Afghanistan, 35 anni e senza gambe, che raccontava con il sorriso il trauma subito in guerra dando coraggio ai soldati nei momenti più delicati» e «un 70enne guru con il quale facevo yoga la mattina mentre mi spiegava le regole della vita». 


Le motivazioni 


La capacità di entrare in sintonia con tali e tante identità diverse dall’ebraismo laico romano da cui proviene hanno valso a Lea i gradi di caporale con tanto di lodi da parte degli ufficiali che, risalendo la catena di comando di Tzahal fino ai gradi più alti, sono arrivate sul tavolo di Rivlin per la designazione finale. Fra le qualità che più gli vengono riconosciute c’è «la capacità di sorridere e interagire con tutti» anche nelle situazioni più difficili, impreviste. Quasi un riconoscimento alle origini italiane. Non a caso nel giorno della premiazione tiene a dire, con una punta di orgoglio, «sono israeliana e mi sento al tempo stesso italiana per l’educazione che ho ricevuto, per ciò che ho potuto apprendere, per ciò che sono»